Venerdì
27 giugno 2014, in occasione dell’evento dedicato
alla proposta di riforma dell’art.1 della
Costituzione in materia di riconoscimento della
bellezza quale elemento costitutivo dell’identità
nazionale, tenutosi a Roma presso la Camera dei
Deputati - Sala del Refettorio, ho avuto il piacere
di conoscere personalmente l’on. Serena Pellegrino
ed ascoltare contenuti di grande profondità a
sostegno di tale iniziativa.
Tuttavia
si sono ascoltate anche considerazioni
inaspettatamente semplicistiche del tipo che
sarebbe inadeguato introdurre il concetto di
bellezza nell’art.1 oppure che già nell’art.9
vengono richiamati principi simili o ancora teorie
che relegano la bellezza a mera forma fisica
esteriore, obbiettando allo stesso On. Pellegrino
l’appropriatezza di aver accomunato “la bellezza”
a quei muri di Pompei in continuo cedimento. Ma la
bellezza di quei muri ovviamente non sta nel solo
aspetto esteriore ma è
proprio l’insieme della loro funzione di
testimonianza storica e culturale nella forma
fisica esteriore di un muro segnato dal tempo. Non
sono un docente di estetica e neanche di semantica
però, quando si discute di certi argomenti,
bisogna essere coscienti della loro profondità e
del fatto che quando si parla di bellezza ci si
deve riferire a quell’essenza composta dal giusto,
inscindibile e sinergico connubio tra valore
intrinseco, aspetto funzionale e forma fisica
esteriore come peraltro ha ben chiarito il
contributo del prof. Giovanni Puglisi. Per
semplificare spesso faccio un esempio banale: I
fiori, con la brillantezza dei loro colori, sono
un emblema della bellezza, ma anche un fiore
artificiale potrebbe avere gli stessi colori.
Eppure, fareste mai come omaggio un bel mazzo di
fiori artificiali? Io penso di no! I fiori
naturali sono belli perché hanno, nella loro
gradevole fattezza, l’essenza intrinseca della
natura, della partecipazione al ciclo della vita,
nonché la funzione di attrarre gli insetti tramite
gli elementi cromatici, quella di trasmettere
messaggi, ecc.
Purtroppo
ho dovuto constatare che non per tutti i
partecipanti fosse scontato attribuire al concetto
di bellezza proposto un’accezione appartenente ad
una categoria superiore, a quella che comunemente
viene chiamata “ideale” e che, come tale, deve
essere al vertice piramidale di qualsiasi atto
successivo nonché giustamente inserito nell’art.1
della nostra Costituzione.
Il
concetto di bellezza inoltre, non si porrebbe in
conflitto con il concetto di lavoro come accennato
da qualcuno bensì, in un periodo storico di
estrema criticità (in cui il lavoro viene indicato
sempre più come sinonimo di precarietà ed
incertezza), ne andrebbe a valorizzare la
funzione. La bellezza infatti altro non sarebbe
che il fine verso il quale indirizzare il mezzo
del lavoro che, attualmente, sembrerebbe indicato
nell’art.1 come fine a se stesso.
A
partire dal 2001 la convergenza di alcune
circostanze, tra cui il cambio della moneta,
l’entrata nel mercato comunitario e la conseguente
riforma del mercato del lavoro, hanno stravolto il
sistema produttivo Italiano. All’epoca, con la
celebre legge Biagi, ci fu promessa la
flessibilità ed invece ci è stata data la
precarietà. La globalizzazione di fatto ci ha
catapultato in un mare sconfinato di informazioni
e in questa situazione l’ago della bussola è
completamente impazzito. L’italia insieme ad altri
paesi naviga da anni alla deriva in cerca di una
rotta certa da seguire. La disoccupazione e la
precarietà sono di fatto generate dalla mancanza
di prospettive e dalla incapacità di orientare il
lavoro verso un fine. Allora, in riferimento
metaforico all’art.1, assodato il fatto che
attualmente il lavoro è sinonimo di precarietà ed
incertezza, può una qualsiasi cosa fondarsi su un
sostegno precario ed incerto??? Immaginiamoci
un’intera Nazione!
E’
certo dunque che l’articolo 1 (se
non altro per coerenza con il reale stato in cui
versa attualmente il lavoro) va reso più attinente
alle condizioni ed alle esigenze effettive della
Nazione e forse, prendere coscienza del fatto che
non a caso L’Italia, il più grande patrimonio
artistico-storico-culturale del mondo, venga
identificata come il “Bel Paese” o nella “Grande
Bellezza”, potrebbe indicare un reale percorso di
sviluppo da seguire (anche in virtù ed a sostegno
dell’art.4). Forse sarebbe necessario un cambio di
prospettiva nell’identificazione delle priorità e,
per esempio, renderci conto che non è più
sufficiente la ricerca dell’efficienza solo
nell’ambito delle fonti energetiche ma che
potrebbe essere necessario effettuarla a tutti i
livelli e, nel nostro caso, anche a livello
culturale. Casi come Pompei ce ne sono tanti,
troppi! E’ assolutamente necessario lavorare nella
giusta direzione per recuperare e valorizzare ogni
angolo in degrado del nostro “Bel Paese”,
impegnando le maestranze e le professionalità già
presenti sul territorio (ma sempre meno
utilizzate) al fine di scongiurare il ripetersi in
futuro dei casi come quelli di Pompei. Evitiamo lo
spreco delle risorse più preziose: quelle umane e
culturali!
Roma,
lì 30 giugno 2014
Felice
Poliseno